Caldo e siccità in Italia, danni per centinaia di milioni di euro. Una nuova sfida per la logistica in Italia.
L’emergenza idrica mette a rischio le coltivazioni, ma anche quelle produzioni industriali che hanno bisogno di acqua per gli impianti: ci saranno ripercussioni sulla logistica?
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Letti aridi, corsi in secca: la crisi di approvvigionamento idrico dei fiumi italiani si misura a monte, nelle nostre montagne sempre più povere di neve. E si lega agli effetti dei cambiamenti climatici, con piogge sempre più scarse sia a Nord che a Sud: precipitazioni che, quando finalmente arrivano, sono impetuose e diventano calamità naturali che rovesciano quantità d’acqua eccessive causando danni all’agricoltura e alle arterie di comunicazione.
Effetto innescato da una temperatura media più alta del normale e che nei prossimi 30 anni salirà tra 1 e 2 gradi lungo tutto lo Stivale. Tanto che anche a livello nazionale si sta pensando ad adottare misure da stato di emergenza.
Tra Piemonte, Lombardia e Veneto non si trova acqua a sufficienza per irrigare i campi e i danni al comparto agricolo sono già evidenti: difficile pensare che tutto ciò non si ripercuota per l’ennesima volta anche sulla logistica, che da alcuni dei settori più colpiti ricava linfa vitale.
Si tratta di una siccità che imperversa dall’inverno: da dicembre a fine febbraio l’Italia ha ricevuto il 60% di neve e l’80% di pioggia in meno rispetto alla media stagionale. All’assenza di precipitazioni si è infine associato un fine inverno straordinariamente caldo: una media stagionale di 1.7° C in più rispetto al trentennio 1981-2010.
Gli invasi del Nord-Ovest toccano quasi tutti il record negativo personale dal Dopoguerra: la portata è pressoché ovunque ridotta della metà.
Non è un caso che Piemonte e Veneto abbiano chiesto a Valle D’Aosta e Trentino Alto-Adige di erogare più acqua, rendendo accessibile quella degli invasi idroelettrici (alcuni dei quali, per altro, in sofferenza a loro volta) ottenendone però dei parziali dinieghi: anche i nevai sono già sciolti; dunque, le riserve sono quel che sono.
Così il Po si ritrova su livelli dimenticati dalla fine degli anni ’40 del Novecento, l’Adige viaggia oltre due metri al di sotto della media idrometrica dell’anno scorso e ben 20 centimetri al di sotto di quella del terribile 2017.
La siccità non colpisce soltanto il Nord-Italia, infatti partendo dall’Emilia Romagna, in tutta la regione calano vistosamente le portate dei fiumi e il Secchia e l’Enza sono sotto il limite storico.
Male va anche in Toscana: l’Arno ha una portata pari al 27% della media e, anche, l’Ombrone e il Serchio sono in sofferenza.
Anche il Lazio non è messo meglio: in questa regione sono calati i livelli dei fiumi Tevere, Liri, Sacco, Aniene nonché quelli dei laghi di Bracciano e Nemi: alcuni tra i presupposti che hanno convinto la Regione Lazio a emettere un’ordinanza che dichiara lo stato di calamità.
Per salvare il salvabile l’unica strada sono i razionamenti idrici, già decretati da molte autorità comunali – niente acqua di notte, niente acqua per usi che non siano essenziali – che però colpiscono in parte anche le aziende agricole, comunque costrette a fare i conti con minori risorse per l’irrigazione, da farsi su turni.
Diverse coltivazioni sono già state abbandonate per l’insufficienza di acqua o per la concomitanza di altri fenomeni, come la salinizzazione delle falde a causa della risalita del mare lungo estuari e foci (nel Po ciò avviene già per circa 30 km), mentre altri hanno preferito mietere in anticipo, con uno sviluppo vegetativo parziale, ma ancora salvabile almeno come frumento per la zootecnia.
All’assenza di acqua va sommato anche il rincaro di quella disponibile: in Emilia Romagna, ad esempio, irrigare un ettaro frutteto vorrà dire spendere 430 euro invece che i 92 del 2020.
Tra le tante conseguenze dirette vi è la perdita di volume nelle coltivazioni che Coldiretti stima in almeno 2 miliardi di euro di danni, da aggiungere al conto del cambiamento climatico, circa 14 miliardi di euro pagati dal settore agricolo in 10 anni.
Le soluzioni richieste sono soprattutto di natura economica nell’immediato, con l’indennizzo per quelle attività che subiranno un danno superiore al 30% del raccolto, ma strutturali nel lungo periodo: con le risorse del Pnrr si suggerisce di adottare modelli di bacinizzazione degli invasi fluviali come fatto nel nord-Europa e di creare una rete di bacini di piccole dimensioni diffusi su tutto il territorio nazionale.
Si tratterebbe di interventi irrigui che richiedono risorse ben maggiori degli 800 milioni di euro previsti attualmente dal Piano per interventi irrigui.
L’attuale scenario fa presupporre, come detto, un calo dei volumi del settore agricolo, sempre che la situazione non degeneri a tal punto da provocare anche la diminuzione della fornitura di acqua agli impianti industriali.
Nella seconda ipotesi anche altri tipi di produzioni dovrebbero ridimensionarsi, impattando sulla logistica. È però il comparto agricolo a smuovere grandi volumi in termini di movimentazione e trasporti: basti pensare i chilometri percorsi da pomodori, lattughe, arance, mele e uva, spesso con destinazioni molto a nord rispetto all’Italia.
Ad essere particolarmente colpite sono le risaie, il cui prodotto anima un indotto impegnato nel trasporto verso gli impianti di lavorazione, confezionamento e poi distribuzione per la vendita.
Alla fine dell’estate si potranno osservare dati completi, sperando che la pioggia si sia fatta viva senza eventi distruttivi: allora la logistica capirà con quale forza l’onda d’urto della siccità si ripercuoterà su di essa.
–A cura di Filippo Samminiatesi–